Settant’anni fa, il 27 gennaio 1945, nel rigido inverno polacco si aprivano alla libertà i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, abbattuti dalle truppe sovietiche. Nella giornata istituita per commemorare le vittime dell’Olocausto, il nostro pensiero è rivolto a chi non fece più ritorno a casa, chi ebbe per sempre segnata la propria vita.
Occorre una visione più ampia di condivisione collettiva rispetto a temi su cui occorre un incessante lavoro di sensibilizzazione, da parte delle istituzioni in primis, affinché l’ignoranza venga debellata dalla memoria storica.
Il dovere civico e storico della memoria deve essere pratica quotidiana atta a interpretare una realtà, oggi sofferente come allora, di una Europa che ha trasformato il Mediterraneo, così come i confini tra paesi, nel cimitero che fu Auschwitz, insieme a tutti i campi di concentramento, nel secondo conflitto mondiale.
Oggi, in quello che si delinea come dopoguerra della pandemia, bisogna garantire alle minoranze, donne e uomini di differente provenienza, uguali diritti, eliminando gli effetti dei fenomeni di discriminazione e disuguaglianza connessi al genere, all’immigrazione e alla povertà che caratterizzano le nostre latitudini coinvolte nel processo di globalizzazione.
È necessario ripartire dall’equità sociale, dai diritti costituzionali e bisogna farlo diffondendo la cultura della memoria affinché la storia non si ripeta.